A marzo dello scorso anno eravamo in molti a chiederci come sarebbe stata la nostra vita professionale.

Il punto interrogativo più grande e anche più angoscioso riguardava la gestione dei gruppi. Già, non era difficile pensare che le sessioni di coaching sarebbero state esclusivamente online. In fondo la mia attività da coach si svolgeva già in buona parte online.

Altro discorso era quello che riguardava le lezioni, i workshop e le attività di lavoro in gruppo che erano previste dai progetti Europei che seguivo. Altro discorso ancora era la formazione che avrei voluto seguire come partecipante. Qui sembrava fosse necessario re-inventare tutto.

Come molti ho pensato che, anche se ero sicura che avremmo smarcato velocemente le problematiche tecnologiche, di certo i workshop non avrebbero avuto lo stesso sapore rinunciando alla presenza. In una prima fase è stato naturale annullare o posticipare eventi già fissati per “causa di forza maggiore”.

Nella fase successiva ho dovuto accettare la logica del “o così o…”.

È stato questo un momento terribile, in cui pur sforzandomi di continuare a partecipare a corsi a cui ero iscritta, ho constatato che corsi che seguivo da anni con estremo piacere si erano tramutati in ore di noia a cui cercavo di sfuggire in ogni modo. Erano i primi tempi e molti professionisti anche di livello proponevano la versione video delle loro performance d’aula, raccogliendo risultati deludenti dove non si distingueva l’analfabetismo tecnologico dall’incompetenza pedagogica sulla formazione a distanza.

Poi abbiamo iniziato a sperimentare la magia del workshop che si tiene online.

Intendiamoci, non è una regola, non accade sempre e soprattutto non accade gratis.

Ho deciso di studiare sul campo il fenomeno.

La prima volta che ho sperimentato questa sensazione di benessere è stato in un corso di scrittura in cui ero allieva. Eravamo in una quindicina, collegati da luoghi diversi (una partecipante addirittura dalla Cina) e riflettevamo scrivendo sull’esperienza del lock down che tutti avevamo vissuto pur a latitudini diverse.

Nell’autunno sono arrivate le aule (digitali) di coaching, i workshop di digital storytelling e le lezioni della Holden e sto citando solo i luoghi dove la magia del gruppo si è sprigionata.

È il momento di analizzare quali sono gli elementi che accomunano queste esperienze di valore.

Interattività ovvero lontani ma coinvolti

Quando i membri del gruppo sono “chiamati” a essere parte del lavoro che si sviluppa nel corso dell’incontro, la partecipazione diventa per forza di cosa attiva.
L’interattività è possibile quando il gruppo non superano i 15 (massimo 20) membri e quando a ogni individuo è richiesto di portare valore al lavoro che si sta sviluppando. Nei workshop digitali si perde la possibilità di creare relazione preferenziali all’interno del gruppo, quelle che normalmente si svilupperebbero sull’onda di simpatie per compagni di viaggio. Il gruppo mantiene una natura più orizzontale che paradossalmente offre la possibilità di ottenere un contributo bilanciato ed equo da parte di tutti.

Se noi riusciamo ad avere all’interno della cornice dello schermo, in un solo sguardo, i volti di tutti i partecipanti, difficilmente saremmo portati a non considerare il punto di vista di qualche membro meno estroverso, cosa che capita regolarmente all’interno dello spazio fisico.

Intimità ovvero lontani e così (intimamente) connessi

L’avreste mai detto? Ebbene sì. Quando la comunicazione diventa intima, lo spazio virtuale diventa un luogo di accoglienza. Il distanziamento digitale funziona come acceleratore. Da un certo punto di vista la creazione di quello spazio protetto senza giudizio è più facile e veloce. E lo spazio innaturale dove il corpo non ha fisicità diventa lo spazio naturale dove si verbalizzano con delicatezza e precisione le proprie emozioni.

Scambio ovvero lontani ma produttivi

Quello che veramente funziona è la necessità di raggiungere un obiettivo comune. Quello che ho toccato con mano è che quando il gruppo ha un mandato, diventa estremamente efficace nella sua azione.

La formazione digitale funziona meglio se ha la forma dell’apprendimento partecipato piuttosto che quello della lezione in cui un docente trasmette conoscenze. Imparare insieme e modulare gli incontri seguendo gli interessi e il carattere del gruppo è la vera chiave. In più, paradossalmente, la dimensione immateriale dell’aula virtuale spinge come reazione l’aula a contribuire alla creazione di un risultato tangibile, qualcosa che permette al partecipante di affermare con lecito orgoglio “non solo ero lì, ma abbiamo anche creato qualcosa”, dove il lì non è la stanza di casa in cui ci siamo connessi ma lo spazio immateriale ma concretissimo dello scambio e del dialogo che resta un bisogno primario.

Quando siamo troviamo o siamo in grado di creare le condizioni per soddisfarlo, realizziamo la nostra natura profonda di esseri umani (anche online).

I gruppi di cui ho fatto parte in vari ruoli che hanno ispirato queste riflessioni sono:

  • Aula di Master in Coaching di Accademia della Felicità (lezioni sugli Archetipi e sul Public Speaking)
  • Attività di formazione con Emergee sagl
  • Workshop progetto europeo DEPAL
  • Track LA VOCE di Enrico Gentina per la Scuola Holden (Master OVER30)
  • Scrivere di Marco Missiroli per la Scuola Holden (Master OVER30)
  • Bootcamp di Business di Micaela Terzi
  • …e molte occasioni di collaborazione senza le quali questo periodo sarebbe stato veramente isolato!

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