Intervista ad Antonio Cajelli  

Antonio Cajelli è un educatore finanziario.
Affronta il tema da indipendente a partire da un sapere multidisciplinare e con una prospettiva eticamente orientata.

Sapere multidisciplinare e prospettiva eticamente orientata! Ecco le ragioni per cui sono così motivata ad intervistarlo. Nel nostro mondo iper-specializzato e settoriale un punto di vista tanto eversivo ha l’effetto di un potente catalizzatore.

Ci siamo incontrati la prima volta ai tempi della scuola di teatro (N.d.R. Teatro Stabile di Torino – era il secolo scorso), lui era amico, simpatizzante e assiduo spettatore delle performance di noi allievi.

Ci siamo incontrati di nuovo nel 2014 e le posizioni erano ribaltate, lui sul palco e io in platea, per la lezione spettacolo BRUTTI COME IL DEBITO.

Ve lo immaginate uno spettacolo senza attori?
In scena un avvocato esperto in diritto bancario e finanziario (Massimo Melpignano) e un educatore finanziario indipendente (Antonio). In platea circa duecento spettatori rapiti.

Negli anni successivi ho seguito le sue evoluzioni da equilibrista della formazione e dell’educazione creativa. Antonio ha un suo modo molto efficace per essere formatore.

Non è facile incontrarlo, ma Sabrina Corsini, che mi piace definire, tra le altre cose, una grande risorsa per il networking, ha organizzato un appuntamento per un caffè a tre alla Caffetteria degli Angeli un sabato mattina alle 8.00!

È fine giugno e fa caldo. Ci sediamo nel grazioso cortile interno, ordiniamo il primo caffè.

Il nostro incontro dura oltre due ore e almeno altre due tazze di caffè. La conversazione è densa di spunti di riflessione.

Antonio, cosa significa essere un educatore finanziario indipendente? Chi sono le persone con cui ti relazioni?

Nel 2013 quando per la prima volta ho contattato i servizi sociali per chiedere se potevo aiutare i loro utenti ad affrontare temi economici, è successa una cosa pazzesca!

Gli assistenti sociali mi raccontavano che loro si occupavano dell’assistito, gli pagavano la bolletta, lo soccorrevano ma dicevano “guarda, il problema ce l’ho io! Non so come affrontare il mio problema”.

Erano per la maggior parte frustrati, si sentivano come un bancomat ai quali l’utente dei servizi si rivolge per tamponare le situazioni critiche. Davano pochi soldi e li davano male. Sentivano di non avere alcun impatto oltre la risoluzione dell’emergenza.

Così ho iniziato a fare la formazione agli operatori sociali (gli educatori, gli psicologi, gli amministrativi dei vari sevizi sociali di Consorzi o unioni di comuni che gestiscono l’assistenza sociale). Era necessario un percorso per chi aiuta gli altri. Un percorso per incidere sulla vita degli assistiti la bolletta.

Come faccio? Mostro all’operatore come può agire sul reddito e cogliere l’occasione per un affiancamento dove non deve sostituirsi in nulla alla persona ma guidare nella risoluzione del problema, mostrare come stabilire le priorità e convincerla a rimettersi nel mondo potendo contare sugli strumenti giusti.

Sono anni che mi occupo di uno sportello di volontariato per la città. Non non ho mai dato un centesimo. Non offro soldi, eppure riesco ad essere benvoluto e risolutivo. Perché? Perché sono i soldi il problema!

La tua storia? Come sei arrivato a fare questo?

Stavo in banca. Ho fatto praticamente tutto in banca fino alla direzione regionale. Ho lasciato il mondo della banca quando sono arrivati i miei figli.

I miei figli sono il vero motivo.
Nel 2010 ho adottato due ragazzi di 5 anni e 2 anni. Sono andato a prenderli e, quando sono tornato, ho detto a mia moglie che avrei fatto qualche cosa di diverso. La banca mi chiedeva di fare cose che non volevo fare  e io cercavo il modo di farle rispettando le persone.

La cosa curiosa è che, anche lì, le persone percepivano che io stavo dalla loro parte e non da quella della banca. Quando ho capito questo ho detto: “Chiudo!”

[Pausa]

Salto nel vuoto completo.

[Pausa. Sono incredula.]

Tu hai chiuso e non avevi niente in ballo? Ti sei lanciato senza rete di salvataggio?

Non avevo niente da fare. La prima idea che ho avuto è stata quella di propormi per la consulenza alle imprese, era l’ambito in cui mi sentivo più forte. Non era praticabile. Mi sono presto reso conto che come consulente esterno ero percepito in modo completamente differente da quando ero un dipendente della banca. Il cliente maturava una specie di esperienza cognitiva che lo persuadeva che il consiglio di una persona interna alla banca sia buono, mentre lo stesso consiglio dato dalla stessa persona in veste di consulente che paga non lo sia. Cosa curiosissima.

Pazienza! Comincio a immaginare di fare altre cose.

Su quanti risparmi posso contare? Questa domanda è diventata il primo gradino per costruire la mia nuova professione. O meglio ho capito presto che pormi questa domanda era un grande errore!

Non si può vivere con la logica del “ho soltanto cinque minuti di ossigeno”, dovevo ragionare in base a ciò che potevo produrre, fare, proporre.

Intanto insistevo nei miei tentativi con le imprese.

Purtroppo il mondo delle imprese è il mondo della badanza . Cercano qualcuno che si faccia carico del problema. Non volevo farmi carico del problema, proponevo una chiave di lettura e il supporto a risolvere il problema questa volta e per tutte le occasioni future.

Questo approccio non interessava a nessuno.

Ogni giorno acquisivo consapevolezze nuove e imparavo nuove cose.

Soprattutto, ad ogni nuova esperienza, mettevo a fuoco quali tra le mie qualità potevano fare la differenza.

[Le mie antenne di coach vibrano. Ci stiamo addentrando nel mondo dei talenti. Non lo interrompo per non spezzare la magia.]

La prima qualità che riconosco è la capacità di coinvolgere chi mi ascolta in un ragionamento. Questo significa che tu, che sei di fronte a me, puoi comprendere il mio modo di procedere e farlo tuo.

La seconda qualità è la capacità di tradurre.  Nella società dell’informazione, trovi tutto, è tutto reperibile ma, lo leggi, lo esamini ma…non lo capisci! Oppure lo capisci ma non sai quello che devi fare e quindi risolvi dicendo “Fai tu!”. Alla banca, allo stato, ai servizi.

Tradurre significa portare le persone a compiere questo ulteriore passo, non solo capire il significato ma avere la consapevolezza di poter fare.

La terza grande fortuna era la mia capacità di rubare… nel senso di osservare, cogliere aspetti.

Questo significa cogliere il senso ultimo. per essere un formatore devo essere capace di estrapolare gli elementi essenziale di un argomento per trasferirli e modificare così il mind-set di chi mi ascolta.

Se la formazione si ferma a livello di informazione, nessuno cambia, non l’allievo e non il docente. Educare è un processo di cambiamento a doppia direzione.

L’ultima grande carta sulla quale potevo contare è la capacità di spacchettare problemi complessi e trasformare obiettivi imponenti in piccoli obiettivi perseguibili.

Ecco a partire da queste consapevolezze ho costruito la mia professionalità di oggi.

Quando nel 2010 ho scoperto il filone dell’educazione finanziaria, ho intuito che poteva essere una strada possibile, e che era un modo per sfruttare ciò che io avevo studiato.

In realtà ho dovuto disimparare tutto quello che avevo studiato e rimettere in discussione dalle fondamenta un modello che di fatto era funzionale al mondo finanziario ma non alle persone.

Come formatore devi misurarti con la comunicazione. Tu non hai paura. Ti sei misurato con il teatro, con l’aula, con la piazza, con il rapporto uno a uno e con il video. Come vivi la rivoluzione di oggi in cui la formazione si trasferisce online?

Questa crisi generata dal Covid-19 è pesantissima a livello economico. Sono arrivati aiuti a pioggia a dare un po’ di ossigeno ma questi aiuti sono metadone puro!

Ogni grande crisi economica si supera con un salto culturale. Questa crisi è pericolosa per l’Italia, e questo non lo dice Antonio Cajelli ma la Banca d’Italia, la Banca Centrale, l’ OCSE e via dicendo. Questa volta il salto sarà la digitalizzazione dei processi. In Italia molte persone hanno basse qualifiche e bassa familiarità con gli strumenti tecnologici.

Dobbiamo fare un cambio di passo ma la stessa scuola che dovrebbe essere la base per il cambiamento non è pronta.

Ho una moglie che è insegnante e si è trovata senza supporti per affrontare le lezioni a distanza. Aveva me, ma dopo un po’ non sapevo dove sbattere la testa. L’idea diffusa è che il problema sia tecnologico! Il problema non è tecnologico è di comunicazione.

Come fare a bucare lo schermo?

Questa è la domanda che ci dobbiamo fare.

Negli interventi online ho provato alcune tecniche per agganciare gli allievi.

Chiamare le persone per nome, fare esempi che partono dalla persona.

Non abbassare mai lo sguardo. Se stacchi lo sguardo sei finito, li hai persi.

Tre minuti per un caffè in mezzo alla lezione. Dopo 28 minuti dico: “allora ragazzi! 3 minuti! Ce lo avete il caffè pronto? Andate a ballare per 3 minuti!”

Sono tentativi. Nessuno ti dice “si fa così”.
Noi formatori non dobbiamo aspettare di tornare in aula. Dobbiamo pensare che il nostro futuro sarà online. L’aula virtuale è uno strumento in più che permette di andare oltre i confini del territorio.

[Sorseggiamo un altro caffè, è il terzo. Pausa]

Cosa è per te la felicità?

[Antonio sembra intimorito e la risposta arriva intervallata da momenti di rumoroso silenzio e riflessioni.]

Ehhh… per me è facile parlare di molte cose, per le emozioni è molto più difficile.

Vengo da una famiglia incapace di verbalizzare le emozioni. Mia madre risponde alla domanda “come stai?” con la frase “ho fatto un sacco di cose!”. Allora insisto: “Sì, mamma, ma come stai?” e lei risponde “Ho fatto questo, ho fatto quello e quell’altro…”. Mio padre? Peggio.
Non sono abituato a verbalizzare le emozioni.

Ti farò degli esempi:

parlare-con-mio-figlio-di-come-cresce: questo sì questo mi rende felice!

[pausa]

una gratificazione professionale: mi rende felice.
Vedere che una persona ha approfittato del nostro incontro per star meglio mi rende felice.

[pausa]

Te ne dico ancora uno.

[pausa lunga]

Sto apprezzando il silenzio, le persone parlano troppo, il mondo parla troppo, c’è troppo rumore verbale. Quindi andare a passeggio con il cane in silenzio è felicità.

Il lockdown è stata un’occasione.

Il silenzio secondo me non lo abbiamo capito abbastanza.

Ci salutiamo perché deve scappare.
Torno a casa con un audio di cento minuti che riascolto più e più volte per scegliere cosa selezionare per questo articolo. Fatico a scegliere tanto la conversazione è densa di contenuti.

Cosa vorrei che restasse di questa conversazione?

  • L’esempio di percorso alla scoperta dei talenti e di come svilupparli
  • L’importanza di coltivare l’attitudine ad avventurarci in territori sempre nuovi
  • Il considerare i canali di comunicazione per quello che sono, ovvero mezzi e non fini, abbandonando finalmente ogni reverenziale timore
  • L’ispirazione a partire dalle emozioni e dai valori etici per attivare cambiamenti che portano lontano e fanno bene al mondo

[pausa]

Antonio Cajelli
Dal 2011 si occupa di educazione finanziaria da una prospettiva indipendente, a partire da un sapere multidisciplinare e con un atteggiamento eticamente orientato.
il suo obiettivo è far crescere la consapevolezza che le persone hanno nel proprio uso quotidiano del denaro. Da un punto di vista professionale, si occupa di formazione rivolta a quegli operatori (assistenti sociali, educatori, psicologi e operatori sociali in genere) che accompagnano, per lavoro, le famiglie in condizione di fragilità da un punto di vista socio-economico. 
https://www.facebook.com/antoniocajelli
https://www.antoniocajelli.it/

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