Navigando tra le storie

Sono anni che desidero intervistare Giulia. Per il suo lavoro, per la luce che brilla nei suoi occhi e per un senso di giustizia che mi spinge a mettere sotto i riflettori i frutti del suo talento. Chi conosce Giulia ne apprezza l’intelligenza scoppiettante e rispetta la sua timidezza quasi reticente.

Ci ho messo un po’ a convincerla a concedermi questa intervista e ho dovuto fare appello a diversi strumenti di negoziazione efficace. Quante volte ho dovuto rispondere alla domanda “sei sicura di voler intervistare proprio me?”, quando sono convinta della validità di qualcosa è difficile che io demorda e alla fine ho raggiunto il risultato.

Se avrete la pazienza di leggere fino in fondo le sue parole, sarà lampante quanti spunti di riflessione la sua storia professionale e personale può offrire ad un coach, ad un coachee e a chiunque sia appassionato di umanità.

[Una sera d’estate. Un tavolino in un dehor in Piazza Vittorio a Torino.
Giulia arriva con la sua storica bicicletta, la appoggia ad un palo e la assicura con la catena.
Raccoglie dal cestello una grande borsa di stoffa multicolore, si guarda intorno. Dal tavolino agito il braccio finché mi vede e sorridente si avvicina.]

[Subito dopo averla salutata, la incalzo immediatamente con le domande, ho paura che cambi idea! Lei sorride, i suoi occhi vagano veloci per la piazza bellissima ancora illuminata dalla luce del tramonto. Ordiniamo da bere e da mangiare e iniziamo.]

Racconti ai lettori dello Stage door blog quale è il tuo lavoro?

 [Ride, ma sta al gioco e inizia a parlare]

Scrivo. Scrivo per alcune testate, testate online e anche testate cartacee, scrivo recensioni e articoli che trattano di contenuti digitali per bambini.

[Pausa – Sorride, ha l’espressione di una che l’ha detta grossa. Poi riprende a parlare.]

Pubblico su queste riviste le mie riflessioni e offro segnalazioni sui libri per bambini. Non è possibile distinguere e separare completamente queste due anime dell’editoria per l’infanzia, sono due mondi collegati, diciamo in simbiosi l’uno rispetto all’altro e questo è uno degli elementi più interessanti per me, che è materia sia nei laboratori con i bambini sia nei momenti di formazione per gli adulti.

Qual è il fine ultimo del tuo lavoro?

[Giulia diventa serissima]

Desidero farmi capire. Sembra una cosa banale, sembra un’aspirazione sciocca o modesta, per me è un grandissimo trionfo quando riesco a veicolare tramite la mia voce, la mia presenza, il mio sforzo quello che è il risultato delle mie ricerche.

Se un insegnante, un educatore o un genitore riesce a capire come appassionare i bambini e ragazzi all’amore per le storie allora io mi sento veramente soddisfatta. Esiste ancora una grande resistenza alla diffusione dell’editoria digitale, questa resistenza assume la forma della noncuranza e della negazione. Questo è un linguaggio che è naturale per le nuove generazioni.

Se dopo tanti esempi, dopo tanti stimoli e suggestioni di varia natura, riesco di fatto a trasmettere quello che il mondo del digitale può fare e vedo che il mio pubblico si accende e si appassiona e progetta di condividere con gli allievi, con i figli quello che facciamo in aula, sono davvero contenta.

O se riesco io stessa a trasmettere questo amore ai bambini quando lavoro direttamente con loro, sono davvero contenta.  [Inspira lentamente e sottolinea, abbassando di un tono la voce] Questo è il fine ultimo a cui aspiro.

[Sono contenta, ha iniziato a vuotare il sacco e incalzo]

Ci spieghi nel dettaglio in cosa consiste il tuo lavoro?

Mi occupo di spiegare e di raccontare come le storie in formato digitale possono essere.

Lo faccio scrivendo articoli, lo faccio conducendo aule di formazione per adulti e lo faccio guidando laboratori per bambini. Non esiste un nome codificato per questa professione.

Ho costruito questo lavoro un passo alla volta.
Mi rivolgo ai genitori, agli insegnanti, ai bibliotecari, ai librai. Condivido i risultati delle mie ricerche su quanto offre il mercato editoriale digitale per l’infanzia. Mi concentro sui prodotti di successo senza tralasciare quelli più di nicchia che spesso nascondono veri tesori, nei contenuti o nella forma.

Lavoro con un pubblico degli adulti che si relazionano a vario titolo con i bambini. Offro gli strumenti per accrescere il loro patrimonio culturale e le loro competenze in modo che possano spenderle con i giovani.

Lavoro con i bambini nei laboratori. È entusiasmante. Con i più piccoli analizzo il racconto e studiamo come cambia il linguaggio del racconto. Nei laboratori con i bambini pariamo dalle loro potenzialità manuali, tagliamo, coloriamo, incolliamo e stimoliamo la loro capacità di interagire con le storie.

[La passione per il suo lavoro, ha vinto la timidezza. Cerco di spingerla a parlare di un suo grande progetto realizzato.]

Ci parli del tuo più grande successo?

[Uhhh! Lo sguardo che mi rivolge mi rimprovera l’esagerazione. La incoraggio, in fondo questo è un gioco…molto serio]

Qual è il mio più grande successo? Non lo so, non credo di avere ancora avuto nessun vero grande successo. Sicuramente lavorare bene mi fa sentire una persona di successo, non ambisco a essere riconosciuta per strada o ad andare in televisione! Queste cose non mi interessano, ma quando un insegnante si ricorda di un mio incontro di formazione avvenuto un anno prima, questo sì, è un grande successo! Oppure è un grade soddisfazione sapere che nella mia comunità di esperti di digitale, sono considerata una voce attendibile! Questi riconoscimenti mi ripagano di tutta la fatica che faccio! Penso che tutti dovremmo essere contenti di quello che facciamo.

[Pausa – Si interrompe. Sa che vorrei che raccontasse del progetto Benvenuti ABC, che ha coordinato con eccellenti risultati]

Se vogliamo parlare di grandi numeri, il più grande, il più maestoso successo che posso raccontare è quello del progetto dell’e-book interattivo “Benvenuti ABC”, quello sì che è stato un grande lavoro. Così grande che mi ha stecchita dal punto di vista fisico! [ride]

Abbiamo realizzato in Italia un progetto che era stato proposto e realizzato in Germania. Il progetto originario è nato dall’idea di uno dei volontari all’accoglienza dei migranti curdi. Le difficoltà di comunicazione linguistica rendevano difficilissima l’accoglienza. Serviva un aiuto per comunicare con queste persone spaventate, sole e affamate. A Colonia, alcuni volontari avevano utilizzato il software PubCoder realizzato dalla start-up digitale italiana, che è stata una delle ragioni che mi avevano spinto a lavorare in questo ambito.

Il risultato del loro lavoro era un dizionario, non esaustivo, diciamo un traduttore di prima accoglienza dove ogni vocabolo era illustrato da un disegno interattivo e corredato dall’audio in lingua tedesca, turca e inglese.

“Benvenuti ABC” è stata la versione italiana del progetto.

Tutto è iniziato quando ho lanciato una call su Face Book, per chiedere l’aiuto gratuito e volontario agli illustratori. Ho dovuto coordinare il lavoro di 140 illustratori che hanno aderito gratuitamente all’iniziativa. Ad ognuno si chiedeva di disegnare una tavola interattiva per illustrare una parola del dizionario digitale. Ho dovuto coordinare le attività dei tecnici, di chi ha prestato la sua voce e il suo impegno.

È stato gravoso, ma il risultato è stato veramente interessante.

[Ora parla a voce alta, spedita. E ci racconta anche con i gesti il suo orgoglio.]

Una grande parte del tuo lavoro è in aula, quale è il tuo rapporto con il public speaking?

Public speaking? La difficoltà più grande sta nel fatto che non conosco mai il mio pubblico, arrivo all’incontro senza conoscere quale è la percezione che gli interlocutori hanno del mondo digitale, non conosco la loro età né qual è il loro modo di insegnare. Quando faccio formazione queste cose contano. Devo adattare il mio modo di comunicare e usare un linguaggio diverso a seconda delle loro competenze. Ogni classe è composta da 20 a 30 sconosciuti e devo trovare il modo di “arrivare” alla maggior parte di loro. La prima difficoltà è proprio questa!

Nel corso della prima ora devo costruire con i partecipanti una relazione, così faccio qualche domanda e ascolto le risposte nel tentativo di mettermi sintonia. Ho molte rispetto per i bisogni e le aspettative di chi partecipa e voglio trovare il modo migliore per comunicare e soddisfare le diverse esigenze.

Cosa mi viene più facile? “Ascoltare”. Non credo che sia un merito saper ascoltare, basta tacere mettere in pausa i pensieri dentro la testa e non avere smania di dire cose. Quello che abbiamo da dire non è più importante delle cose che hanno da dire gli altri. Così, se uno sta zitto davvero, diventa subito capace di ascoltare.

[Mentre Giulia parla rifletto su come ha spiegato, in modo semplice e diretto, cosa significa Ascolto attivo.]

[Giulia ha rotto il ghiaccio, e io mi spingo oltre con una domanda più intima.]

Giulia, condividi un tuo piccolo segreto?

Se è segreto, anche se piccolo, non te lo dovrei raccontare, no?  [ride]

Ma siccome sono una persona frivola, amo raccontare i miei segreti. Sappi che dopo averlo confessato, lo cambierò e me ne inventerò un altro, segretissimo!

Ecco il mio segreto: siccome sono sempre in ansia da prestazione, arrivo sempre molto tesa agli incontri in cui devo parlare. Questo avviene per una questione di rispetto per chi mi ascolta e perché sono fatta così di carattere e ci tengo a ottimizzare il risultato aggiungendo valore al tempo che ho a disposizione. Insomma prima dei miei incontri sempre molto agitata, in uno stato quasi catatonico! Certo, macinando esperienza miglioro ma un pizzico di pepe nel culo ce l’ho sempre. Ho scoperto che se qualcuno mi offre del cioccolato, divento molto più tranquilla, molto più serena e quando sono sotto l’effetto del cioccolato riesco a dare il meglio del meglio!

Quindi un dolce segreto!

Cosa significa per te cambiamento?

Se ti devo parlare di cambiamento e di come lo affronto, penso che l’attitudine al cambiamento è stata la radice di tutto nella mia professione.

Ho iniziato lavorando in Lapis, che all’epoca era una piccola casa editrice di Roma e che ora è diventata una medio-grande casa editrice di libri per bambini e per ragazzi. Ci sono stata due anni, è stata un’utile gavetta dove ho conosciuto e svolto le attività più diverse, dalla redazione, alla gestione del magazzino fino all’incontro con gli autori e con gli illustratori.

Mi piaceva molto, non era un’attività in linea con i miei studi in giurisprudenza ma credevo che la mia vita professionale potesse percorrere all’infinito quel binario.

Ho lasciato quel lavoro così amato quando mi sono trasferita a Milano e messo in pausa la mia vita professionale per alcuni anni. Quando mi sono riaffacciata sul mercato del lavoro, mi trovavo in una città in cui non avevo riferimenti e non potevo per motivi personali propormi nella redazione di una casa editrice, perché lì la mia presenza sarebbe stata richiesta per otto o dieci ore al giorno.

Il cambiamento per me è stato inevitabile. Forte della start-up tecnologica che nel frattempo mio marito aveva avviato e che si occupava di editoria digitale interattiva, ho iniziato a studiare i contenuti di qualità che la letteratura digitale per l’infanzia proponeva.

Non è stato facile all’inizio. Non amo la tecnologia in modo particolare, non faccio le cose fuori dagli store per acquistare l’ultimo modello di iPad, io sono quella che inciampa nei cavi ad ogni incontro di formazione, sono quella a cui viene l’ansia quando schiaccio un tasto sulla tastiera e il risultato non è quello che spero.

[Giulia gesticola e sembra di vederla, piccola e ricciolina di fronte ad una piovra di cavi.]

Insomma non sono partita proprio nella migliore delle situazioni, dovevo spingermi oltre la mia confort zone. In ogni caso non amare la tecnologia è ben diverso da non amare le storie digitali! La narrazione digitale è un linguaggio diverso per raccontare storie. Si può amare moltissimo il cinema senza saper girare un film! Quindi sì, uso quella frase che usano tutti, “mi sono rimboccata le maniche e mi sono messa in gioco”.

Il cambiamento è fondamentalmente, significa adattarsi, essere disponibili ad adattarsi, significa essere molto curiosi e anche essere anche abbastanza determinati, qualche volta trovare la determinazione anche se non è un tratto distintivo della nostra personalità. A sostenermi è stata la passione per quello che faccio, per le storie e per come vengono raccontate sulle pagine di un libro o sullo schermo di un iPad poco importa.

Il processo di cambiamento è stato duro soprattutto nel primissimo periodo, ora è introiettato, fa parte di me. Ho superato fasi di paura, disgusto e ho acceso la fiamma di una grande passione e provo una profonda gratitudine per questo cammino complesso che ho affrontato. Quando si riesce a fare qualcosa che ci piace è come trovarsi nel proprio ambiente naturale. Ecco, sono nel mio habitat ecco questo mi piace! Questo percorso di cambiamento alla fine mi ha portato a sentirmi bene con il mio lavoro

Cosa è per te la felicità?

[Giulia diventa seria, inspira e con calma, scava tra i pensieri]

Credevo di non avercela un’idea precisa di felicità, infatti non ce l’ho.

Mi spiego: penso che la felicità sia una categoria sopravvalutata, cioè si può vivere, si può lavorare e stare in piedi, si può essere delle persone equilibrate e realizzate anche senza essere felici.

La distinzione è tra le persone risolte (bene o male) e le persone che invece sono irrisolte dal punto di vista personale o dal punto di vista professionale.

Quindi se vogliamo traslare questo concetto di felicità ad un livello un po’ più comprensibile, un po’ meno sognante, un po’ meno romantico, ecco sì!, io la differenza la vedo solo fra chi sta bene e chi non sta bene, tra chi vive in uno stato di benessere, di positività, di gioia quotidiana, di semplice gioia quotidiana e chi invece questa sensazione di equilibrio non la vive. Vale per tutto, per le azioni e i comportamenti umani prima ancora che per le condotte lavorative e professionali.

[E’ quasi un’ora che parliamo, abbiamo bevuto una bibita, la luce si è fatta più soffice, dorata e saporita. Abbiamo chiuso ufficialmente l’intervista e siamo rimaste al tavolino fino al calar del buio. Ridendo di gusto e raccontandoci quelle cose che nutrono le amicizie, troppo intime per essere utili ad un blog, fosse anche lo Stage door blog…]

Giulia Natale
https://www.giulianatale.it/

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