Paura del video

Identità e rappresentazione

«Che fai?» mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indugiare davanti allo specchio.
«Niente» le risposi, «mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo, avverto un certo dolorino.»
Mia moglie sorrise e disse: «Credevo ti guardassi da che parte ti pende.»
Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato la coda: «Mi pende? A me? Il naso?»
E mia moglie, placidamente: «Ma sì, caro. Guardatelo bene: ti pende verso destra.»
Avevo ventotto anni e sempre fin allora ritenuto il mio naso, se non proprio bello, almeno molto decente, come insieme tutte le altre parti della mia persona. Per cui m’era stato facile ammettere e sostenere quel che di solito ammettono e sostengono tutti coloro che non hanno avuto la sciagura di sortire un corpo deforme: che cioè sia da sciocchi invanire per le proprie fattezze. La scoperta improvvisa e inattesa di quel difetto perciò mi stizzì come un immeritato castigo.

Questo brano è l’incipit di Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello.

Nello scorso articolo ho presentato i “10 modi per allenarsi (indirettamente) al public speaking”, tra i quali suggerivo leggere. Oggi parto dallo spunto che mi arriva da un’opera che tratta del concetto di identità e della sua rappresentazione e che utilizzo per aprire una riflessione su due aspetti fondamentali del rapporto che ognuno ha con se stesso:

  • la percezione individuale interna non corrisponde alla resa esterna
  • il riconoscimento della resa oggettiva al pubblico è un processo di costruzione della personalità

A chi non è mai capitato di detestare la propria voce registrata? O di non riconoscersi nei video o nelle fotografie? Chi non ha mai rifiutato di cogliere la veridicità di descrizioni, magari positive, che sono arrivate dell’esterno?

Perché la percezione della nostra voce e della nostra immagine è così differente da quella registrata? Perché apprezziamo con tanta difficoltà la nostra resa in video?

Motivi scientifici oggettivi per la voce

Da un punto di vista scientifico dobbiamo considerare che ascoltare una voce registrata significa percepire suoni che arrivano a noi tramite un fenomeno di conduzione aerea con un processo trasmette le vibrazioni dall’orecchio esterno e al timpano (orecchio medio), quindi all’orecchio interno, che le trasmette al cervello. Quando parliamo la nostra voce arriva al cervello con surplus di canali anche attraverso la conduzione ossea nel cranio. Le ossa del cranio conducono con efficacia le basse frequenze dandoci la sensazione di emettere una voce ci sembra più profonda di quella percepita dall’esterno.

Motivi scientifici oggettivi per l’immagine

Per quanto riguarda la nostra immagine è per lo più vincolata all’immagine che ci restituisce lo specchio, quindi un’immagine speculare e ravvicinata, con la quale abbiamo una dimestichezza affettiva. Il cervello stenta a riconoscere le nostre piccole asimmetrie nella rappresentazione reale.

Il registratore rende la nostra voce gracchiante?

Il video ci fa più grassi? La fotografia non ci rende giustizia?

L’importanza di guardarsi in video

Molti coachee rifiutano l’idea di vedere le registrazioni video dei loro speech. Quando decidono di farlo, guardano il video con un intento critico che si concentra sull’estetica (visiva e sonora) prima che sull’efficacia.

Osservano con riluttanza quello sconosciuto grassoccio e querulo che si è appropriato del loro discorso e che si muove sullo schermo. Esprimono giudizi feroci che non riescono a tradurre in indicazioni per un miglioramento successivo. Insomma non si riconoscono, anzi rifiutano la propria immagine.

A questo punto il rischio è quello di sfuggire ogni altra occasione di esposizione pubblica.

Per questo è necessario avvicinarsi lentamente alla propria resa in video.

Amare noi stessi significa familiarizzare con quello che il mondo percepisce di noi, conoscere, amare e costruire piano piano questa immagine.

Qualche idea per iniziare…

Come iniziare?

  1. Guardiamoci allo specchio il più possibile e non solo dalla distanza ravvicinatissima che ci è utile per truccarci o per farci la barba. Giochiamo con la nostra immagine riflessa, facciamo le smorfie, prendiamoci un po’ in giro.
  2. Registriamo la nostra voce e riascoltiamola! Cambiamo toni, ritmo e frequenza. Abbiamo un incredibile strumento musicale! Se ci piace cantare (anche sotto la doccia) facciamolo in ogni occasione possibile, se siamo soliti parlare da soli, facciamolo ma ad alta voce.
  3. Registriamo video, muoviamoci davanti alla telecamera e guardiamoci, annotiamo ogni volta 5 cose che ci sono piaciute di quello che abbiamo registrato e 2 cose che vorremmo migliorare.

Con questi esercizi possiamo iniziare a fare amicizia con la nostra rappresentazione agli altri.

Il percorso è lungo e ha due obiettivi principali

  • Guardare sullo schermo il video del nostro speech e essere felici della nostra performance
  • Guardare sullo schermo il video del nostro speech e vedere una performance di altissimo livello

Perché un public speaking efficace è un public speaking felice!

Il coaching per public speaking si occupa di questo!

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